“Niente” di Janne Teller (Feltrinelli) è uno di quei libri che ti scelgono e basta, lo so per certo. Lo so perché la prima volta scoprii quel libricino smilzo di 119 pagine per caso, durante un consueto giro in libreria. Fui subito rapita dalla trama ma, chissà per quale motivo, non lo acquistai. Più tardi iniziai a sentirne parlare, mi incuriosii e decisi di averlo tra le mie mani. E da allora, il consueto tragitto in tram per andare al lavoro non è stato più lo stesso.
Non vorrei raccontarvi tutta la storia (non avrebbe senso alcuno) ma proporvi alcuni spunti di riflessione che – spero – vi invoglino a leggere questo capolavoro di una brutalità estrema. Chiedetemi tre aggettivi per definire “Niente”e io vi dirò: agghiacciante, estremo, doloroso. Un libro che ha creato un piccolo scandalo tra i librai di tutta Europa e che ha registrato vari rifiuti nella vendita perché considerato letteratura per ragazzi. Sinceramente, per le sensazioni che mi hanno letteralmente assalita durante la lettura, non mi sento assolutamente in grado di dire che sia un libro per ragazzi come tanti. Forse non lo è per nulla proprio.
Non c’è niente che abbia senso, è tanto tempo che lo so. Perciò non vale la pena far niente, lo vedo solo adesso.
Queste sono le parole di Pierre Anthon, un adolescente che il primo giorno di scuola decide di abbandonare la lezione perché nulla ha senso, secondo il suo punto di vista. Non ha senso andare a scuola, non ha senso studiare, non ha senso lavorare. L’intera esistenza ai suoi occhi appare priva di quel famoso senso a cui tutti si aggrappano. In fondo non è questo il senso della nostra vita? Dare significato alle cose?
I suoi compagni di classe inizialmente cercano un dialogo con il ragazzo, che sembra presuntuoso, pieno di una verità che per loro non esiste. Ognuno trova significato in qualcosa: in una bicicletta, nella capacità di suonare la chitarra, negli oggetti religiosi, nelle persone. Tutto quello che è in grado di rassicurarci, ciò in cui crediamo, ciò che ci rende vivi. Eppure lui sembra essere diventato sordo alle loro parole, perché tutto è inutile, tutto ma proprio tutto.
Perché un giorno comincia solo per finire. Nel momento in cui siete nati avete cominciato a morire. Ed è così per tutto. La terra ha quattro miliardi e seicento milioni di anni ma voi arriverete al massimo a cento! Non vale assolutamente la pena esistere, è tutta una commedia basata sulla finzione, si tratta di vedere chi è il più bravo a fare finta.
Da quel momento in poi Pierre sale su un albero di susine e decide di trascorrere il suo tempo lì, tra quei rami lunghissimi, tirando di tanto in tanto qualche frutto ai compagni che lo insultano. Cosa fare per convincere il loro amico a scendere e fargli capire che in realtà tutto ha senso? La decisione, inizialmente pacifica e a fin di bene, è quella di costruire una catasta del significato, un mucchio in cui ognuno di loro deve consegnare ciò a cui è più legato. All’inizio si tratta di oggetti, poi il meccanismo del gioco, unito alle logiche spietate del gruppo adolescenziale, assume connotazioni aggressive e pericolose. Una paio di sandali, un criceto, una bandiera, un taglio di capelli blu, una bara, un dito… Tutto per dimostrare a Pierre Anthon che si sbaglia, che la catasta ha un senso perché gli oggetti hanno senso. Riusciranno a convincerlo?
Non vi dico altro. “Niente”è uno di quei libri che affonda “l’ascia nel mare di ghiaccio” con un tonfo sordo. Un testo che riflette, attraverso le decisioni e i pensieri di un gruppo di ragazzi, sull’assenza di significato, un significato che si annulla nel momento stesso in cui si dona, anzi, si sacrifica, si immola in virtù di una dimostrazione. Una storia di adolescenti priva di spensieratezza o leggerezza, avvolta da una nube d’angoscia, governata da istinti primordiali e spirito di sopravvivenza estrema. La storia di un branco che distrugge il significato e distruggendolo finisce per distruggere se stesso in un crescendo di tensione che culmina nel finale inaspettato. Nulla può far cambiare idea a Pierre che assume le sembianze di un saggio, un essere imperturbabile che si è messo il cuore in pace perché ha scoperto qualcosa che gli altri non potranno mai capire fino in fondo. Durante tutta la storia gli adulti non hanno alcuna influenza o spessore: come se l’esistenza intera sia concentrata nel periodo adolescenziale, l’unico in cui le passioni e gli istinti si manifestano in tutta la loro potenza e aggressività. Fino a raggiungere la follia pura.
Janne Teller, scrittrice danese, classe 1964, ha scritto un piccolo grande capolavoro. Io ve lo suggerisco caldamente e sappiate che se lo leggerete non ve ne separerete mai.
Ioanna