Sotto la superficie, lontano dagli occhi, esistono storie che il tempo ha congelato, nascoste, in attesa di essere rivelate. Ghiaccio è nato per portarle alla luce.
Non sono storie che si trovano in superficie: sono frammenti dimenticati, segreti sepolti, racconti sconosciuti.
Ciò che vediamo infatti è solo un frammento di ciò che esiste. Ma sotto il ghiaccio, ci sono mondi interi ancora da scoprire. Ghiaccio non è solo una finestra su storie poco conosciute; è un varco che ci porterà dove pochi riescono a guardare. Preparatevi a esplorare ciò che è rimasto sommerso troppo a lungo.
Babele è il luogo in cui le parole si perdono senza smettere mai di cercarsi.
È il momento in cui ci accorgiamo che parlare non sempre significa capirsi, e che il silenzio può contenere interi discorsi.
È il frastuono delle emozioni a cui non sappiamo dare un nome, è la fatica di trovare le parole per spiegarsi, è il desiderio di essere ascoltati.
Babele è confusione e tentativo. Di uniro ciò che credevamo distante, di creare ponti tra mondi lontani, di dare un senso a ciò che non aveva spiegazione.
Chi ha amato, almeno una volta, ha balbettato. Ha cercato parole che non bastavano. Eppure, in quel disordine, è nato qualcosa di nuovo.
C’è un cielo dentro ognuno di noi.
Sembra così lontano, irraggiungibile, eppure è sempre con noi, ovunque andiamo.
È nei sorrisi a cui ci abbandoniamo e negli abbracci che riceviamo; è nelle notizie che abbiamo atteso e nelle dita che abbiamo tenuto incrociate; è nel cuore di chi ha avuto il coraggio di credere e di chi ha avuto l’ambizione di desiderare.
Chi ha sognato almeno una volta, ha avuto il cielo negli occhi. E chi non ha smesso di cercarlo, prima o poi lo sfiora.
Basta un attimo per toccarlo con un dito.
È solida sotto i piedi, ma vibra di miliardi di storie.
È l’inizio di tutto: materia viva, elemento primordiale, luogo che accoglie e che trattiene.
Ci tiene fermi, ci dà radici, ma sa anche spingerci lontano, con la promessa di riprenderci se decideremo di tornare.
Profuma di madri e di sere d’estate.
Suona come la lingua che ci ha cresciuti.
Si estende come la strada che conosciamo a memoria.
Ha l’aspetto delle case lasciate con valigie piene di sogni e il cuore colmo di speranze.
È ciò che resta quando tutto il resto cambia.
Ci ancora alla realtà, senza impedirci di immaginare.
È l’incendio, provocato dalla mano e dalle scelte dell’uomo, ad annunciare la civiltà che sorge: un parto di calore, perdita e paura, che però attrae inesorabilmente a sé. Pietra focaia del sentimento, polo magnetico della notte, rifugio delle ore senza sonno.
Timore sconfitto nel buio, vendetta per chi è privo di fede o annuncia un altro Dio prima del tempo. “Non farti del male, spegnilo”: colpisco me stesso, punizione e purezza, la cenere mi trasforma in pace. Perenne.
Dio ha bisogno dell’uomo, il fuoco della scintilla. Alimentati da piccole cose, inglobati a sé e fatti perduti senza esserne una somma: “è tutto così più grande di me”.
Urto, contrasto, opposizione.
Io da un lato, tu dall’altro.
– Se il conflitto fosse la soluzione a tutti i miei problemi, io sarei sempre in conflitto.
Milite ignoto nella ricerca della felicità, o quantomeno di qualcosa che ci si avvicini. Che la sfiori, forse: perchè se la prendo in mano, in pieno, rischio di soffocarla.
– La stringo forte perchè temo se ne vada via.
– Lasciala andare, tornerà. Se deve.
Sacrificato all’altare del dolore, coccolo le cattiverie altrui. Le filtro. Quasi quasi le porto in alto, da pulpito.
– Che cazzo ti esalti?
– Eh. Cerco di capire perchè. Credo sia colpa mia.
Colpa mia. Conflitto = colpa. L’autoassoluzione impossibile, fine pena mai: l’ergastolo morale dell’uomo.
Credevo di averli superati, una volta. Ero andato oltre, nei modi e nei tempi. C’era questa linea che mi diceva “no”, ma sono andato avanti. Credo di averla calpestata volutamente, cancellandone un tratto. Lasciando una traccia, voluta, su qualcosa che divideva. Che mi divideva.
Una volta di là, l’illusione del nuovo e del futuro. “Andrà meglio, non tutto bene forse ma meglio”: anche se la lingua è diversa e gli sguardi altrui sono bassi. Non mi guarda nessuno negli occhi. Ho teso la mano ma si è persa nell’aria, ho pianto le cose perdute e quelle mai arrivate. Ho perso te e tutto quello che ti portavi addosso. Ora cerco di superare il futuro, che di alternative non ne ha.
A differenza del fusto, non porta le foglie. Manca, in generale, di clorofilla.
Eppure: fissa la pianta al substrato, assorbe l’acqua, i nutrimenti, e accumula le sostanze di riserva.
Va parecchio in profondità, se serve. Ma sa stare anche un po’ fuori, accarezzando l’aria.
“Se vuoi capire l’anima che hai” ti ci attacchi, ma dopo un (bel) po’. Perché all’inizio le hai dato contro, ti ci sei sporcato di terra le unghie per tirarla via. Per staccartici, fino a farti male. Fino a perderla. E fino a perdere te stesso.
Ce ne prendiamo cura, lo trattiamo male. Amiamo quello altrui, feriamo quello nemico. Dolore, piacere. Bellezza, repulsione. Fisicità manifesta, concretezza celata. Il corpo.
Il corpo è da sempre sintesi e significato della parte più consistente dell’essere umano, capace di compiere ogni gesto impossibile. Le strade intraprese dall’esistenza dell’uomo l’hanno reso anche etereo, trasfigurandolo oltre la materia, facendone (s)oggetto di ogni cosa.
Lo specchio è una porta verso l’interiorità, uno strumento che mette a confronto l’immagine esterna con la vera essenza di chi guarda. È simbolo di introspezione, verità e auto-riflessione, ma può anche rivelare illusioni, ambiguità e segreti nascosti. Attraverso gli specchi, ci immergiamo in un viaggio che esplora l’identità, l’immagine di sé e la complessità dell’essere umano.













